L’evento ha visto la partecipazione di 150 studiosi e ricercatrici appartenenti a discipline diverse (economia, sociologia, psicologia, medicina, salute pubblica) e provenienti da più di 20 Paesi, tra cui Gran Bretagna, Canada, Giappone, India e Stati Uniti.
La prospettiva interdisciplinare della conferenza non solo non ha suscitato divisioni e rivalità tra i diversi approcci scientifici, ma ha generato grande entusiasmo negli studiosi: è infatti nel dialogo fra le scienze umane e sociali che si può aspirare ad una ricchezza di vedute necessaria per leggere in profondità fenomeni universali quali il benessere e la salute.
La conferenza, aperta dai saluti di benvenuto di Luca Crivelli (Direttore DEASS), Alberto Petruzzella (Presidente SUPSI), Luigino Bruni (HEIRS) e Nino Künzli (Presidente SSPH+), ha visto il succedersi, durante i tre giorni, di otto relazioni in plenaria e di circa 70 presentazioni in sessioni parallele.
A tenere le relazioni in plenaria si sono alternati Robert Sugden (University of East Anglia, Regno Unito), Dorothy Watson (Economic and Social Research Institute ESRI, Irlanda), Andrew Clark (Paris School of Economics, Francia), Martin Knapp (London School of Economics, Regno Unito), Carol Ryff (Institute of Aging, University of Wisconsin, USA), Jennifer Nedelsky (University of Toronto, Canada), Carlo Francescutti (Azienda per i Servizi Sanitari Friuli, Italia), Giampiero Griffo (membro del World Council of Disabled Peoples’ International) e Nicole Probst-Hensch (Swiss Tropical and Public Health Institute, Svizzera).
I contributi interdisciplinari hanno permesso di approfondire, da differenti e stimolanti punti di vista, la conoscenza dei fattori che determinano la salute e la felicità delle persone, l’impatto diversificato di questi fattori sui vari gruppi socio-economici ed i possibili interventi di policy volti a rendere possibile un accesso universale dei cittadini al benessere ed alla salute.
La qualità delle relazioni, così come la rilevanza delle discussioni scaturite, hanno reso la Conferenza un’importante opportunità di esplorazione di nuove piste di ricerca per le quali l’assetto pluridisciplinare del DEASS ha rappresentato un punto di partenza ideale.
Sono stati molti gli apporti su cui val la pena di spendere qualche parola. Anzitutto la primissima relazione di Robert Sugden (University of East Anglia, Regno Unito), economista e filosofo, che ha criticato le premesse antropologiche su cui si fonda la teoria del “Nudge” elaborata dagli economisti comportamentali Richard Thaler e Cass Sunstein. Recuperando l’apporto della psicologia all’analisi delle scelte economiche e sociali, i due economisti hanno reso popolare un approccio denominato “paternalismo libertario” che considera legittimo l’intervento da parte degli architetti delle scelte nel definire in modo accurato le opzioni tra cui il cittadino è chiamato a scegliere. Pur sapendo che alcuni comportamenti sono sbagliati per il nostro benessere (fumare, bere superalcolici) ed altri giusti (alimentarsi con frutta e verdura, praticare attività fisica), la maggioranza delle persone continua a praticare le scelte sbagliate. Secondo la teoria del “Nudge”, le persone andrebbero “aiutate” a compiere la scelta giusta, rendendola meno faticosa (ad esempio nel self service di una mensa scolastica, collocando il dolce solo in fondo, dopo frutta, verdura e cibi sani ), poiché in questo modo si riduce la fatica di “resistere alla tentazione” e si provocano così scelte più razionali, nell’interesse delle persone. Ebbene Sugden non concorda con il modo di giustificare il “Nudge” e attraverso una serie di esempi calzanti ha evidenziato come le motivazioni che portano le persone ad operare scelte poco razionali sono moltissime e decisamente più variegate di quanto la teoria del nudge presupponga. La sociologa Dorothy Watson (Economic and Social Research Institute ESRI, Irlanda) ha dimostrato, sull’esempio irlandese, che gli attuali indicatori di benessere sono poco adeguati per dar conto della multidimensionalità delle povertà prodotte dall’attuale crisi finanziaria. La psicologa Carol Ryff (Institute of Aging, University of Wisconsin, USA) ha riportato i risultati di un articolato studio svolto negli USA da cui emerge che uno degli elementi fondamentali per il benessere e la salute psicofisica delle persone è avere un “purpose in life”, uno scopo nella vita. Jennifer Nedelsky, politologa (University of Toronto, Canada) ha sottolineato la necessità di ripensare completamente l’organizzazione del lavoro e della cura nella società moderna, favorendo la crescita di norme che impongano per tutti da una parte un massimo di 30 ore lavorative remunerate e 12 ore dedicate alla cura degli altri, e dall’altra un minimo di 12 ore di lavoro remunerate (work part time for all) con un massimo di 30 ore di cura. Per tutti, quindi, Nedelski immagina una quota di lavoro remunerato ed una quota di cura non pagata. Si tratta qui di agire sui codici di comportamento sociale, facendo diventare “disdicevole” il comportamento di chi lavora troppo e si sottrae al proprio contributo in termini di ore gratuite di cura offerte alla società. Carlo Francescutti (Azienda per i Servizi Sanitari Friuli, Italia) e Giampiero Griffo (membro del World Council of Disabled Peoples’ International) si sono chiesti in che modo gli studi sul benessere tengano conto del punto di vista di chi vive in una condizione di invalidità, intesa non come deprivazione ma come espressione di una diversità che necessita dell’abbassamento di ostacoli per poter esprimere pienamente le proprie potenzialità. Infine l’epidemiologa Nicole Probst-Hensch (Swiss Tropical and Public Health Institute, Svizzera) ha sottolineato come il benessere e la felicità lascino tracce fenotipiche misurabili. In questa prospettiva i biomarcatori potrebbero rivelarsi uno strumento potentissimo per conferire oggettività biologica a ciò che emerge dagli studi soggettivi sul benessere. Se oggi nelle banche dati sul benessere si potessero incrociare le tracce che la felicità lascia nel corpo, con gli aspetti psicologici soggettivi, si identificherebbero meglio le relazioni di causalità fra i vari fattori, e si potrebbero individuare interventi che migliorano la vita delle persone. Qui si tratta di usare la ricerca sulla genetica come alleato delle policy per costruire il benessere di tutti.
Venerdì 15, la giornata di lavoro si è conclusa con la performance artistica degli studenti dell’Accademia Teatro Dimitri e la successiva cena di gala presso le Cantine Lucchini di Pregassona.
Il congresso è stato organizzato con il sostegno di: Associazione Cliniche Private Ticinesi, Credit Suisse, Ente Ospedaliero Cantonale, Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica.
Per maggiori informazioni: www.supsi.ch/go/ehh2016.