L’IA per fermare la Pandemia Silente
Non fa rumore e se ne sente parlare ancora poco. Eppure, nel 2019 a livello mondiale ha causato la morte di 4,9 milioni di persone e si stima che il numero possa salire a 10 milioni all’anno entro il 2050, diventando così la principale causa di morte in Occidente, prima di infarti e ictus. Iniziano a esserci tutti i numeri perché l’attenzione pubblica si soffermi sulla resistenza agli antimicrobici (AMR), anche detta, per l’appunto, The Silent Pandemic, recentemente inserita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra le dieci minacce più pericolose per la salute pubblica.
Per resistenza agli antimicrobici si intende la capacità sviluppata da certi batteri – ma anche da virus o parassiti - di resistere ai medicamenti utilizzati per trattare le malattie che causano. La resistenza antimicrobica non è un fenomeno recente: da milioni di anni, infatti, lo scopo di tutti gli agenti patogeni è quello di moltiplicarsi e di eludere le strategie impiegate per il loro trattamento. Se ci concentriamo sui batteri, una delle cause dirette dello sviluppo della resistenza è l'uso massiccio degli antibiotici, sia nella medicina umana che in quella veterinaria. Con conseguenze spesso disastrose anche per l’ambiente. Una volta sviluppata la resistenza, questi batteri possono diffondersi da persona a persona, attraverso l'ambiente, i viaggiatori e altro ancora.
All’origine del trattamento inefficace di un numero sempre maggiore di infezioni c’è proprio l’uso eccessivo e improprio degli antibiotici, che quasi cento anni fa hanno aperto le porte alla medicina moderna, segnando un salto quantico per le aspettative di vita degli esseri umani. Lo stesso Alexander Fleming, l'uomo che ha scoperto la penicillina, nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel ha messo in guardia dal rischio potenziale di sviluppo di resistenze. E aveva ragione: per ogni antibiotico creato nel tempo, è sempre emersa una resistenza.
Per contrastare questa tendenza dai contorni sempre più allarmanti, in Svizzera è stato avviato un progetto di ricerca che mira ad avere un impatto su scala globale. Si tratta di SPEARHEAD (acronimo per Swiss Pandemic & AMR – Health Econonomy Awareness Detect) e ne fanno parte anche l’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale USI-SUPSI, incaricato di sviluppare un'intelligenza artificiale per aiutare i medici a prescrivere in modo ottimale gli antibiotici ai loro pazienti, e l’Istituto design della SUPSI, che cura invece gli aspetti di comunicazione digitale e l’organizzazione di workshop per aumentare la consapevolezza sul tema tra cittadini e pazienti.
SUPSI Image Focus
Laura Azzimonti è docente-ricercatrice senior all’IDSIA dove segue da vicino un filone di ricerca legato all’apprendimento automatico dai dati per supportare le decisioni mediche. A proposito di SPEARHEAD, spiega come “all’interno del progetto sono impiegati modelli all’avanguardia di intelligenza artificiale in grado di prevedere la resistenza antibiotica e aiutare i medici a selezionare la migliore terapia per i loro pazienti. O in alcuni casi a fornire loro le informazioni necessarie per evitare del tutto la prescrizione di antibiotici quando questa non è appropriata. Altri gruppi di lavoro all’IDSIA si concentrano invece sull’identificazione di molecole più efficaci per il trasporto dei farmaci attraverso le membrane cellulari, basandosi su simulazioni e dati disponibili.”
Le grandi quantità di dati disponibili sono alla base del buon funzionamento dell’intelligenza artificiale e quindi della qualità delle soluzioni che può generare. Questo vale per tutti gli ambiti in cui è impiegata, ma in quello medico pone problemi di varia natura.
A questo proposito la Dottoressa Azzimonti spiega come “sia spesso necessario integrare i dati raccolti in diverse strutture ospedaliere. Questo comporta ovviamente delle sfide perché le informazioni sono tra loro eterogenee, ed è necessario trattarle in modo da tutelare la privacy dei pazienti. Nel caso di SPEARHEAD, usiamo una tecnica all’avanguardia di intelligenza artificiale, chiamata “apprendimento federato”, che permette di integrare diverse fonti di dati, pur preservando la privacy dei dati stessi.
I dati vengono processati direttamente all’interno del singolo ospedale. In seguito, sono trasmesse al server centrale, localizzato all’IDSIA, solo le informazioni aggregate ed anonimizzate, mantenendo quindi la privacy dei pazienti. Le informazioni provenienti da ciascun ospedale vengono raccolte e combinate con quelle provenienti da altri ospedali per creare un modello predittivo globale, che può essere utilizzato da tutte le strutture sanitarie. Questi metodi sono particolarmente rilevanti in ambito medico perché, garantendo la tutela della privacy, facilitano la collaborazione tra le diverse strutture ospedaliere. Di conseguenza, avendo a disposizione una maggiore quantità di dati, permettono di sviluppare metodi di previsione più robusti ed accurati.
Lavoriamo inoltre a stretto contatto con gli ospedali anche nell’azione di sensibilizzazione, volta a rimuovere alcune resistenze sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che non intende in alcun modo sostituire il lavoro del personale medico, bensì a valorizzarlo e a fornire alla società un servizio di qualità sempre maggiore”.
Le grandi quantità di dati disponibili sono alla base del buon funzionamento dell’intelligenza artificiale e quindi della qualità delle soluzioni che può generare. Questo vale per tutti gli ambiti in cui è impiegata, ma in quello medico pone problemi di varia natura.
A questo proposito la Dottoressa Azzimonti spiega come “sia spesso necessario integrare i dati raccolti in diverse strutture ospedaliere. Questo comporta ovviamente delle sfide perché le informazioni sono tra loro eterogenee, ed è necessario trattarle in modo da tutelare la privacy dei pazienti. Nel caso di SPEARHEAD, usiamo una tecnica all’avanguardia di intelligenza artificiale, chiamata “apprendimento federato”, che permette di integrare diverse fonti di dati, pur preservando la privacy dei dati stessi.
I dati vengono processati direttamente all’interno del singolo ospedale. In seguito, sono trasmesse al server centrale, localizzato all’IDSIA, solo le informazioni aggregate ed anonimizzate, mantenendo quindi la privacy dei pazienti. Le informazioni provenienti da ciascun ospedale vengono raccolte e combinate con quelle provenienti da altri ospedali per creare un modello predittivo globale, che può essere utilizzato da tutte le strutture sanitarie. Questi metodi sono particolarmente rilevanti in ambito medico perché, garantendo la tutela della privacy, facilitano la collaborazione tra le diverse strutture ospedaliere. Di conseguenza, avendo a disposizione una maggiore quantità di dati, permettono di sviluppare metodi di previsione più robusti ed accurati.
Lavoriamo inoltre a stretto contatto con gli ospedali anche nell’azione di sensibilizzazione, volta a rimuovere alcune resistenze sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che non intende in alcun modo sostituire il lavoro del personale medico, bensì a valorizzarlo e a fornire alla società un servizio di qualità sempre maggiore”.
Il progetto è finanziato dal programma Flagship di Innosuisse, ed è realizzato da un consorzio multidisciplinare svizzero di istituti di ricerca di cui è a capo l’Università di Basilea. Vi fanno parte ospedali universitari e partner industriali con competenze che spaziano dai settori medico, biologico e farmacologico all'intelligenza artificiale e alla comunicazione digitale. A questo proposito segnaliamo il progetto di coinvolgimento della popolazione MAKEAWARE curata dall’Istituto design della SUPSI.