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I grandi momenti di crisi vissuti negli ultimi cent’anni hanno rappresentato un punto di svolta nella partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Analogamente a quanto avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale, che ha visto un aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, si è inizialmente pensato che il confinamento avrebbe permesso di ridefinire la ripartizione tra il lavoro produttivo remunerato e il lavoro riproduttivo non remunerato nelle coppie. Essendo stato il telelavoro imposto per ragioni sanitarie dove era attuabile, si ipotizzava che nelle coppie, donne e uomini avrebbero condiviso in modo più equo la ripartizione del lavoro di cura e di gestione della casa, favorendo di conseguenza una più equa partecipazione tra donne e uomini anche al mondo del lavoro.
"In realtà tale ipotesi, non si è verificata. Già durante la pandemia, malgrado sia le donne e sia gli uomini telelavorassero in modo importante e tutti i genitori abbiano dovuto fare fronte ad un lavoro di cura notevole essendo le scuole chiuse, sono comunque emerse differenze di genere", spiega Danuscia Tschudi, ricercatrice senior al Centro di competenze lavoro, welfare e società del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI. "Si è constato nello studio SOTOMO svolto in Svizzera che le donne hanno ridotto maggiormente rispetto agli uomini la loro capacità di lavorare per far fronte agli impegni familiari e che il carico mentale della cura benché sia stato elevato per le donne e per gli uomini è rimasto importante per le donne anche quando le scuole sono state riaperte". Come mai non è avvenuto un cambiamento su larga scala della ripartizione tra lavoro retribuito e lavoro di cura all’interno delle coppie? "Perché si verifichi, bisognerebbe rivalorizzare il lavoro di cura, questo faciliterebbe una sua condivisione più equa nelle famiglie".
E il telelavoro?
Nel 2020, durante la pandemia, il telelavoro obbligatorio era praticato in proporzioni simili da donne e uomini. Due anni dopo, rientrata l’emergenza pandemica, le percentuali sono diverse. In un articolo curato da Tiziano Gerosa e Danuscia Tschudi, apparso a novembre 2022 sulla rivista Dati dell’Ufficio di statistica del Canton Ticino è emerso che il telelavoro (sia esso occasionale, regolare o abituale) è maggiormente svolto in Svizzera dagli uomini (41% degli occupati versus il 36% delle occupate) che hanno un partner ma non hanno figli di età inferiore ai 14 anni. “I ricercatori Weichbrodt e Soltermann spiegano che vi sono meno donne che praticano il telelavoro poiché sono più presenti in settori professionali nei quali tale modalità di lavoro è meno praticabile e sono minoritarie nelle posizioni di responsabilità nelle quali il telelavoro è più diffuso”, precisa Danuscia Tschudi. "Il fatto che la maggioranza delle persone che telelavorano non hanno figli invece è spiegabile con il fatto che tra le motivazioni alla base del telelavoro non vi è solo la conciliabilità tra famiglia e lavoro ma anche il desiderio di ridurre gli spostamenti casa-lavoro e di svolgere al meglio determinate attività che richiedono particolare concentrazione".
Si osserva però che in Ticino la percentuale di donne e uomini che telelavorano benché inferiore a quella presente sul piano nazionale è praticamente equivalente (31% degli occupati, 29% delle occupate), questo vuol dire che il telelavoro è applicato in modo più equo sul piano cantonale che sul piano nazionale? "Per rispondere, bisognerebbe approfondire sul piano cantonale le motivazioni che spingono le donne e gli uomini a chiedere il telelavoro e le ragioni dei datori di lavoro nell’accordare o meno tale modalità di lavoro. Tale differenza comunque interpella perché sembrerebbe imputabile ad un minor numero di uomini ticinesi che svolgono telelavoro in forma regolare (al di sotto del 50% del grado di occupazione) rispetto a quanto succede sul piano nazionale. In Svizzera, tutti i tipi di telelavoro (occasionale, regolare, abituale) sono addottati maggiormente dagli uomini, mentre in Ticino il telelavoro regolare è scelto dal 55% delle donne e dal 45% degli uomini. Altro aspetto singolare è il fatto che benché fra le persone che adottino il telelavoro la maggioranza non abbia figli; in Ticino vi è una maggioranza di donne rispetto agli uomini tra coloro che hanno figli e svolgono il telelavoro regolare, mentre sul piano nazionale è il contrario".
"Il telelavoro può sicuramente essere un modo per facilitare la conciliazione tra famiglia e lavoro a patto però che si riduca il rischio del sovraccarico e si eviti che il telelavoro diventi sinonimo di invisibilità sul lavoro. Le pari opportunità in un contesto di lavoro ibrido saranno garantite solo se il telelavoro potrà essere richiesto sia dalle donne sia dagli uomini per diverse ragioni senza temere che questo abbia delle ripercussioni negative sulla carriera a causa di stereotipi che associano ancora tale modalità di lavoro ad una forma di disimpegno", conclude Danuscia Tschudi.