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Sol 392. La notte si è conclusa tranquillamente. Vi alzate dal letto e dopo esservi preparati la vostra bevanda calda preferita, indugiate davanti alla cupola del vostro habitat. È una giornata particolare. Le cronache marziane parleranno del transito di Fobos davanti al disco solare. Un evento non raro, ma per voi quei pochi istanti in cui si consuma lo spettacolo rappresentano ancora una novità. Sorseggiate il liquido caldo con serenità. Prima di partire vi avevano messo in guardia dalla sfida di vivere in questo altrove, ma a voi la solitudine non è mai andata stretta e le sfumature di rosso che si creano sul terreno per il vento marziano hanno quel non so che di poetico e rassicurante. Fantascienza? Purtroppo, sì.
L’ostilità alla vita del più caldo dei deserti terrestri, del più profondo abisso marino o del più gelido inverno in Antartide è solo lontanamente paragonabile alle condizioni estreme cui saranno confrontati gli abitanti dei futuri insediamenti spaziali. Non è più fantascienza, ma obiettivi a cui tendono le agenzie spaziali, proiettate verso questa nuova era dell’esplorazione e della costruzione di habitat sulla Luna e su Marte.
“Già solo immaginare di vivere nello spazio richiede uno sforzo non indifferente” esordisce Federica Trudu docente di Fisica e Matematica numerica al Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI e ZeroG-Nauta. “Devono essere considerati tutti gli aspetti tecnico-ingegneristici della vita extraterrestre: dall’approvvigionamento energetico a quello alimentare, dalla produzione al riciclo dell’acqua, la schermatura dalle radiazioni, senza dimenticare le implicazioni del vivere con una gravità diversa da quella terrestre, dove cristalli e piante si comportano differentemente”.
Il contributo delle simulazioni numeriche
La simulazione del comportamento dei fluidi a gravità marziana, lunare e zero è un filone di ricerca in cui Federica Trudu si è inserita, spinta dalla curiosità per questo peculiare ambito della fisica computazionale. “Con le simulazioni numeriche si possono fare dei veri e propri esperimenti virtuali con tanto di visualizzazione del comportamento dei materiali. Nel mio percorso sono partita dai metalli per poi interessarmi ai minerali terrestri. Incuriosita dalle analogie con quelli di altri pianeti della fascia terrestre, mi sono chiesta se si potessero fare delle simulazioni con minerali che non avevo a disposizione. Un interesse che mi ha messo in contatto con il Professor Nikolaus Kuhn dell’Università di Basilea che all’epoca si stava occupando di un progetto di ricerca sulla morfologia della superficie marziana, studiando alcune caratteristiche del suolo marziano, come la forma e la disposizione dei sedimenti. Al team di ricerca serviva qualcuno che si occupasse di modelli computazionali per simulare il comportamento dei sedimenti ad una gravità diversa da quella terrestre, per stabilire se in un determinato luogo ci fosse o ci fosse stata dell’acqua e identificare i siti migliori per l’atterraggio delle sonde”.
L’equipaggio della missione CompSedMars 2, partito da Fort Lauderdale nel dicembre del 2021. Da sinistra: Nikolaus Kuhn, Federica Trudu e Wolfgang Fister. (Crediti: K. J. Kuhn)
Questa ricerca è scaturita in un software di fluidodinamica computazionale arricchitosi dei dati raccolti in alcuni voli parabolici che hanno simulato la gravita marziana e quella lunare. Col tempo il software REDGRAVIL (REDuced GRAvity VIrtual Laboratory) si è sempre più affinato, grazie al contributo di colleghi e studenti che l’hanno utilizzato nei propri lavori di tesi. Per un gioco di circostanze, Federica Trudu si è poi avvicinata all’architettura spaziale col progetto SWARMIR, un ambito in cui la fisica e la chimica computazionale possono rivelarsi estremamente utili. “Permette a ricercatori e partner industriali di fare tutte le prove possibili prima di partire con una missione spaziale e identificare soluzioni, magari differenti da quelle impiegate sulla Terra. Ma oltre agli aspetti tecnici, non si può prescindere dal considerare l’impatto psicologico della vita extraterrestre. Le prime persone che abiteranno negli insediamenti spaziali si troveranno in luoghi privi di atmosfera, senza alberi o acqua, circondati da rocce incastonate in un panorama arido. Vivranno in spazi ridotti. In quanti dovranno essere? Sono tutti aspetti da considerare. Non si può neppure trascurare l’umana necessità di socializzazione. C’è un aneddoto che per me è emblematico: venne chiesto all’equipaggio della Stazione spaziale internazionale che desiderio avesse durante la permanenza in orbita. La risposta fu un tavolo attorno a cui mangiare e riunirsi. L’architettura spaziale deve considerare anche il benessere degli astronauti che non devono solo sopravvivere, ma anche vivere in un ambiente alieno”.
Verso la Luna, puntando a Marte
Il terzo test di lancio effettuato da SpaceX il 14 marzo 2024 ha riacceso i riflettori del pubblico sulla nuova era dell’esplorazione spaziale e ha reso più concrete le possibilità di un ritorno di un equipaggio sulla Luna nel 2026, come previsto dalla NASA. Dopo due tentativi non riusciti, che hanno però permesso di acquisire dati importanti, il veicolo di lancio Starship è riuscito a raggiungere lo spazio. I dati raccolti nel test consentiranno di affinare lo sviluppo del sistema di lancio più potente mai costruito; un tassello fondamentale del programma Artemis della NASA. La missione Artemis III prevede che Starship s’incontri con il veicolo spaziale Orion nell’orbita della Luna. La navicella di SpaceX caricherà a bordo due membri dell’equipaggio per poi atterrare sul suolo lunare. Dopo circa sei giorni e mezzo (il tempo in cui Orion concluderà la sua orbita attorno alla Luna) Starship riporterà gli astronauti sul veicolo della NASA. Il programma Artemis porterà alla costruzione del primo avamposto umano sul satellite terrestre, gettando le basi per l’invio dei primi esploratori e abitanti di Marte.
Uno scenario su cui l’agenzia spaziale americana sta lavorando: la NASA cerca quattro candidati per la seconda simulazione di un insediamento marziano. L’habitat di 150 metri quadrati, costruito con l’ausilio di stampanti 3D, riprodurrà le sfide della vita su Marte, confrontando i futuri abitanti extraterrestri con la limitatezza delle risorse, i guasti alle apparecchiature e i problemi di comunicazione cui potrebbero confrontarsi gli astronauti durante le missioni.
La simulazione della NASA contemplerà un habitat già costruito, ma non si può dimenticare che anche il tempo di realizzazione comporterà una sfida. “Utilizzando la regolite presente sul suolo della Luna e di Marte si possono costruire degli habitat grazie alla stampante 3D” prosegue Federica Trudu. “Mentre si costruisce l’habitat si devono garantire agli astronauti le risorse necessarie per sopravvivere. Si potrebbe immaginare di avere una stazione in orbita che fa da ponte con la superficie del nostro satellite. L’habitat dovrà essere equipaggiato di un sistema di supporto vitale a circuito chiuso, dovrà contenere piante che trasformino la CO2 in ossigeno attraverso la fotosintesi e che siano anche fonte di cibo. Il progetto MELiSSA dell’ESA da anni sta esplorando questa dimensione. Attorno all’architettura spaziale ruotano tantissime competenze e la conoscenza generata da questi incontri potrebbe essere utilissima anche qui sulla Terra”.
Architetti dello spazio
Numerose aziende e istituzioni accademiche sono protagoniste della ricerca nel vasto campo dell’architettura spaziale, in cui le iniziative e i momenti di confronto si moltiplicano. Di recente, nella città marocchina di Agadir si è tenuto l’atelier SPACE.ARK: dieci giorni di workshop organizzati dalla Cité de l’innovation Souss-Massa (CISM) che ha messo di fronte alle sfide delle abitazioni spaziali un gruppo di studenti di architettura. Nella lista degli oratori invitati c’era anche Federica Trudu con due talk dedicati ai “Life Support Systems” e all’“Energy and Resource Management in Space”.
I partecipanti dell’atelier SPACE.ARK (Crediti: Ismail El Omari)
“Ho messo a disposizione degli studenti tutte le mie conoscenze in ambito scientifico. Lavorando con delle consegne stabilite hanno progettato moduli spaziali capaci di schermare dalle temperature, dalle radiazioni e persino saper affrontare i terremoti. Sono rimasta stupita dall’entusiasmo e dalla loro creatività. Questo mi ha spinto a chiedermi se non si possa proporre anche alla SUPSI un’esperienza analoga, coinvolgendo tutti i Dipartimenti e, perché no, anche il tessuto economico locale. Per gli studenti potrebbe essere un’occasione per cimentarsi con una sfida al di fuori della loro zona di comfort e potrebbe portare a trovare interessanti soluzioni sostenibili da approfondire in tesi di Bachelor e Master o da sviluppare in progetti in collaborazione con le aziende. Le competenze non ci mancano, abbiamo un software in grado di simulare il comportamento dei fluidi a gravità differente da quella terrestre, ora dobbiamo solo unire i puntini. La curiosità e la fantasia sono i motori della ricerca scientifica. 'Dalla Terra alla Luna' di Jules Verne era sì un romanzo di fantasia, ma preconizzò molti delle sfide che portarono alla conquista della Luna”.