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Il Centro competenze psicologia applicata della SUPSI con la Formazione continua del Dipartimento economia aziendale sanità e sociale (DEASS-SUPSI), la città di Mendrisio e Zonaprotetta hanno organizzato due appuntamenti sul tema della violenza dal titolo contenitore Che genere di violenza. Il tema è stato dapprima declinato agli aspetti legati al linguaggio durante l’evento Decostruire gli stereotipi: quale ruolo dell’educazione e della comunicazione, che si è tenuto a Mendrisio nel mese di ottobre. Il prossimo appuntamento affronterà in modo più specifico la violenza domestica, nel convegno che si terrà il 28 novembre nell’Aula magna del Centro Studi di Trevano.
Questo importante appuntamento metterà in dialogo gli interventi e i contributi di chi lavora a contatto con le vittime di violenza domestica. Le voci degli operatori della rete di intervento, degli specialisti del settore in ambito clinico, sociale e giuridico e delle ricercatrici sul campo offriranno agli operatori in ambito sociosanitario una panoramica degli strumenti da sviluppare per comprendere il fenomeno ma anche per intervenire al meglio nell’accoglienza delle vittime di violenza domestica.
Sostiene idealmente i temi di questo convegno la ricerca, finanziata in parte a livello federale dall’Ufficio per l’uguaglianza tra donna e uomo (UFU), che il Centro di psicologia applicata della SUPSI ha recentemente concluso e consegnato. La ricerca si è occupata di esplorare la gestione delle vittime di violenza domestica nei pronto soccorso del nostro Cantone. I risultati saranno presentati per la prima volta proprio all’interno della giornata del 28 novembre.
Da sinistra: Lorenzo Pezzoli Responsabile Centro competenze psicologia applicata SUPSI, Elisa Milani, Cinzia Campello e Antonietta Colubriale Carone.
La violenza domestica, chiamata anche Intimate Partner Violence (IPV) per specificare il contesto all’interno del quale essa si manifesta, è una realtà sfidante i servizi sociosanitari e i professionisti che vi lavorano, di grande impatto per chi la subisce in quanto, tra le altre cose, colpisce la libertà e l’accesso alle risorse da parte di chi ne è vittima. Lavorare in questo ambito presuppone competenze specifiche per riconoscerne le manifestazioni, intervenendo in maniera adeguata ed efficace a favore della vittima; ma richiede anche conoscenze puntuali della rete sociosanitaria con le possibilità di accesso alle strutture di sostegno e aiuto presenti sul territorio che può offrire. Infine, occorrono anche particolari risorse da parte degli operatori attivi in questi ambiti, risorse che attengono alla sensibilità e alla capacità di accogliere nella maniera opportuna le persone coinvolte nelle dinamiche di violenza, risorse che necessitano di specifica e costante cura e sostengo perché le competenze e le conoscenze acquisite possano essere davvero spese al meglio.
Parlare di violenza domestica e di genere
Cosa significa oggi parlare di violenza domestica e violenza di genere? Anzitutto significa riconoscere una realtà che ha un impatto significativo all’interno della società, che grava sull’esistenza delle persone e delle famiglie coinvolte, una realtà che incide sulla qualità della vita, sul benessere e sulla salute mentale di chi la subisce.
La sofferenza che la violenza domestica produce e alimenta è una sofferenza pervasiva e subdola, va a colpire proprio là dove una persona dovrebbe ritenersi sicura e protetta. Infatti, il “domestico” con cui si affianca la parola violenza rimanda alla casa. Che tale fenomeno si sviluppi in uno spazio comunemente designato come luogo di cura e tranquillità, di accoglienza e protezione, non può che acuirne l’impatto, mandando in crisi i normali sistemi di riferimento ai quali ci si aggrappa quando le cose non vanno bene.
Nei fenomeni di violenza domestica si assiste purtroppo ad un progressivo impoverimento della rete sociale della vittima che perde i contatti con la sua rete di riferimento, le amicizie e i familiari. Essa viene isolata e disincentivata all’apertura e al contatto con l’esterno a favore di un isolamento che poi cortocircuita le effettive possibilità di richiesta di aiuto da parte della donna coinvolta nel momento in cui la violenza comincia a manifestarsi o ad accentuarsi.
Quando si subisce e patisce, la violenza domestica apre diversi fronti della dimensione vittimologica. La violenza domestica è un fenomeno complesso e multidimensionale, tutt’altro che riducibile a percosse e ferite, a ematomi e a fratture. La violenza che lascia i segni sul corpo non è l’unica manifestazione della violenza domestica che invece è spesso preceduta e accompagnata da altre manifestazioni di violenza che progressivamente convergono anche (ma non solo) nella violenza “dei lividi”. Tuttavia, non si ferma né si esaurisce ad essi: c’è la violenza psicologica che lascia ferite profonde. Una violenza giocata sul controllo, sulle minacce, sulla derisione e sulla denigrazione, fino all’umiliazione; c’è poi la violenza verbale che, pur nelle sue specificità, si mescola e confonde con quella psicologica. Le parole, come è stato trattato nel primo appuntamento delle iniziative proposte, hanno un peso e un impatto, connotano la rappresentazione dell’altro, possono spogliarlo della sua dignità. La violenza sessuale rappresenta un’ulteriore declinazione della violenza; così come viene rilevata anche la violenza economica dove il controllo di risorse e possibilità di autonomia da parte del partner inchiodano la vittima in una posizione subalterna priva di possibilità e libertà.
Ciascuna di queste manifestazioni di violenza lascia segni specifici, tracce che lo specialista formato può riconoscere e rispetto alle quali può muoversi nel modo più appropriato, rispettoso e delicato se ha acquisito le giuste competenze, assimilato le conoscenze necessarie e coltivato una adeguata cura di sé per mantenere sempre attiva la sensibilità e la disponibilità necessarie all’accoglienza anche di contenuti e situazioni molto dolorose e difficili sul piano emotivo. La vittima di violenza domestica, infatti, alla sofferenza patita nella dinamica di coppia, aggiunge lo svilupparsi di problematiche su vari fronti. Ci sono quelli più evidenti (ma mai scontati) sul piano fisico sia a breve termine legati all’azione diretta della violenza nelle sue variegate forme sia quelli, sempre a livello fisico, che si trascinano nel tempo; ci sono quelli che si manifestano sul piano psicologico dove non c’è solo lo spettro dei disturbi depressivi e ansiosi, ma si incontrano altre manifestazioni tra le quali la sintomatologia tipica del disturbo post traumatico da stress come pure il tentativo, attraverso l’uso di sostanze (alcol in primis) o un’alimentazione eccessiva e problematica di gestire e contenere il disagio psichico.
Un’occasione di confronto
La giornata del 28 novembre può diventare un’occasione per confrontarsi su questi temi, per condividere le esperienze e le buone pratiche presenti in questo ambito anche in altre realtà cantonali, per dare voce a temi difficili non solo perché complessi sul piano clinico e professionale, ma anche perché portano con sé le ombre di una società che rischia di perdere di vista sofferenze profonde perché non coltiva gli strumenti per riconoscerle e accoglierle.