Formazione di base
- 9 minuti
Fornire stimoli di innovazione didattica, favorire la riflessione e il dialogo e valorizzare le buone pratiche. Tre elementi su cui la SUPSI punta molto per fornire una formazione di base al passo con i tempi. Nella valorizzazione rientra a pieno titolo il Credit Suisse Award for Best Teaching. Per il biennio 2021-2022 il tema centrale contenuto nel bando di concorso è stato l'innovazione didattica attraverso lo sviluppo di ambienti di apprendimento a distanza e di percorsi di apprendimento flessibili e personalizzati. Ne parliamo con Daniela Willi-Piezzi direttrice della Formazione di base.
Da sempre la SUPSI pone una forte attenzione sulla qualità e l'innovazione didattica. Seguiamo i paradigmi della didattica universitaria, valorizzando e stimolando il miglioramento continuo di ciò che facciamo. La grande sfida sta nello stimolare i docenti - che per buona parte sono docenti-ricercatori o docenti-professionisti - a riflettere sulle proprie pratiche di insegnamento e sulle rappresentazioni che hanno del ruolo del docente, mettendole in relazione con le esigenze degli studenti di oggi e di domani. Il Credit Suisse Award for Best Teaching offre un pretesto ideale per stimolare la riflessione e rappresenta allo stesso tempo un’opportunità per incentivare e valorizzare le pratiche innovative.
I temi del biennio 2021-2022 vertevano da una parte sul modo in cui utilizzare la tecnologia e la didattica a distanza a favore dell’apprendimento e dello sviluppo di competenze, dunque sulla creazione di ambienti di apprendimento favorevoli; dall’altra sul capire come personalizzare l’apprendimento a partire dai bisogni dello studente. I tre progetti premiati ci hanno colpito molto sia per la passione dimostrata dai team di docenti durante la discussione, sia per la qualità della progettazione e riflessione didattica.
I primi due gruppi vincitori hanno sfruttato le tecnologie in un modo inusuale rispetto alle pratiche più diffuse: partendo dalle difficoltà rilevate negli studenti nell’apprendere concetti teorici e astrattati, hanno utilizzato la tecnologia come supporto per favorire il processo di apprendimento e il transfer. Il terzo premio è invece stato attribuito a un progetto che ha proposto un percorso di apprendimento che pone al centro il cammino di crescita e riflessione del singolo studente e lo sviluppo della sua identità professionale. Un percorso progettato con cura, che favorisce la motivazione, il coinvolgimento e la graduale assunzione, da parte dello studente, di responsabilità nei confronti del proprio apprendimento.
Per noi non è importante solo l’idea innovativa, ma soprattutto la riflessione pedagogico-didattica che viene fatta dal docente o dal gruppo di docenti. Anche lo strumento tecnologicamente più avanzato è fine a sé stesso se non è inserito in maniera mirata e coerente in un percorso di apprendimento.
In quale modo la tecnologia può prestarsi a una formazione che risponda alle attuali esigenze? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Fornara, responsabile del Servizio didattica e formazione docenti (SEDIFO).
Con la pandemia c’è stata un’accelerazione nell’utilizzo della tecnologia che pensiamo possa essere sfruttata dal docente per promuovere l'integrazione di situazioni di apprendimento a distanza in un percorso formativo in cui l'interazione in presenza continua a giocare un ruolo fondamentale. Il ricorso al digitale richiede ovviamente uno sviluppo della literacy dei docenti e può aiutare nel realizzare un’idea, nel rafforzare un approccio per competenze e favorire il transfer di conoscenze anche nel mondo del lavoro, dove la tecnologia è diventata fondamentale.
Il nostro approccio non si limita a considerare la tecnologia come uno strumento di trasmissione di contenuti. Vogliamo che possa fungere da mezzo per coinvolgere di più gli studenti, per stimolare la partecipazione attiva sia in aula sia fuori. Questo implica che il docente “scenda dalla cattedra”, che si metta anch’esso in gioco in un processo sempre più partecipativo e condiviso con gli studenti. È un processo che promuoviamo e che ha bisogno di tempo per consolidarsi. Il Credit Suisse Award for Best Teaching va anche in questo senso, ma non premiamo l’exploit del docente. Quello che cerchiamo nei progetti è una pratica inserita in un contesto d’insegnamento comune, che possa fungere da spunto anche per altri docenti e che possa avere un effetto di moltiplicazione, che abbia una trasferibilità.
Il primo premio è andato al progetto “La realtà virtuale come strumento didattico in un corso sperimentale in Architettura d’Interni” di Matteo Vegetti, Marco Lurati e Matteo Moriani. Ce ne parla Matteo Vegetti.
L’idea del corso è nata nel 2018 insieme alla rivisitazione del piano degli studi in architettura d’interni. Il gruppo di lavoro aveva previsto un corso di Fenomenologia dello spazio e a tenerlo avrei dovuto essere io, il filosofo di quel gruppo. Tempo dopo Pietro Vitali, responsabile del corso di laurea, mi suggerì di realizzare il corso con l’uso della realtà virtuale. Al momento non capii affatto cosa intendesse. Solo dopo qualche tempo sono riuscito ad afferrare il concetto: l’idea era di sfruttare le potenzialità degli ambienti immersivi per sperimentare i concetti della fenomenologia, intesa soprattutto come filosofia della percezione.
Il bando interno SUPSI sulla digitalizzazione della didattica (2020) ci ha poi fornito l’occasione di passare a una fase progettuale. Si era ancora nel periodo di pandemia e quasi tutti i nostri colleghi hanno proposto attività legate alla didattica a distanza. Noi abbiamo preso un’altra strada, perché sentivamo che era la chance per implementare la nostra idea. Il bando ha reso possibile finanziare non solo la fase preliminare di ricerca, ma anche l’acquisto dei caschi Oculus Quest 2, indispensabili al corso.
Per prima cosa, si è reso però necessario costituire un gruppo interdisciplinare. Oltre alle competenze di un filosofo, occorrevano quelle di un abile interaction designer, per sviluppare gli ambienti virtuali e le possibili forme di azione degli utenti, e poi quelle di un architetto, per comprendere come trasferire le nozioni astratte della fenomenologia nel campo dell’esperienza spaziale. Con Marco Lurati e Matteo Moriani abbiamo formato un team realmente interdisciplinare, poiché ciascuno dipendeva dalle competenze degli altri. Abbiamo immaginato di strutturare il corso in cinque unità – rispettivamente dedicate al tema delle soglie, del campo, della sinestesia, dell’atmosfera e dell’orientamento – e abbiamo sviluppato per ognuna di esse un approccio diverso, ma sempre mirato a fondere teoria ed esperienza. Volevamo dare vita a un corso di filosofia applicata, dove gli studenti potessero scoprire certi principi teorici attraverso la pratica, con il loro stesso corpo, anche se si trattava di un corpo virtuale.
Devo dire che siamo stati anche un po' incoscienti, perché non eravamo del tutto consapevoli delle difficoltà che ci avrebbero atteso.
Quando mi sono immerso nella letteratura esistente circa gli impieghi didattici della realtà virtuale, ho trovato ben poco. Nelle facoltà di architettura ci sono corsi che utilizzano la VR, specie come strumento di renderizzazione, ma nonostante gli sforzi, non sono riuscito a trovare nessun corso di filosofia che ne facesse uso (e a dire il vero nessun corso teorico in generale). Per quello che ne so, il nostro è stato il primo corso di filosofia applicata allo spazio virtuale. La sperimentazione ha avuto corso negli anni accademici 2021-2022 e 2022-2023. I risultati sono stati decisamente positivi, anche se trattandosi di una cosa inedita, ci ha richiesto molti sforzi per metterla a punto e avvicinarci agli obiettivi prefissati. Fin dall’inizio abbiamo cercato di strutturare una metodologia che potesse offrire ad altri corsi di filosofia applicata un modello cui ispirarsi. Anche per questo mi è stato subito chiesto da una rivista dell’Università di Milano (“AN-ICON”) di raccontare la nostra esperienza e di presentare il metodo di lavoro che avevamo seguito.
Il secondo premio è stato assegnato al progetto di Francesco Micheloni ed Elisa Bassani “Mettere i saperi in situazione per formare alla professione”.
Il progetto si è svolto all’interno del modulo “Basi anatomo funzionali” del Bachelor in Fisioterapia dove analizziamo l’atto motorio, correlandolo ai meccanismi neurofisiologici fondamentali, alle dinamiche articolari e agli interventi muscolari necessari all’esecuzione dei gesti.
Il percorso che abbiamo proposto rappresenta una novità per l’utilizzo di strumenti tecnologici in grado di rilevare e acquisire, durante l’esecuzione di movimenti funzionali, dei dati cinematici (sistema Motion Capture Optitrack), dei segnali elettromiografici (EMG wireless Due-Pro) e dei segnali legati all’attivazione di alcune aree della corteccia grazie al monitoraggio dell’emodinamica cerebrale (spettroscopia funzionale TD-NIRS). Il supporto tecnico è stato fornito dal Laboratorio di ricerca 2rLab del DEASS, dall’ingegnere fisico del Politecnico di Milano Michele Lacerenza e dall’ingegnere dell’azienda milanese PIONIRS Mauro Buttafava.
Tutte le acquisizioni strumentali sono state eseguite nel laboratorio di ricerca 2rLab su persone sane. L’impiego di sei telecamere a raggi infrarossi, che individuavano la posizione di marker catarifrangenti collocati in specifici punti anatomici, ci ha permesso di rilevare il movimento delle diverse parti del corpo. Per registrare le attivazioni muscolari abbiamo utilizzato degli elettrodi posizionati sui principali muscoli coinvolti nel movimento considerato. Per catturare l’attivazione delle aree cerebrali abbiamo invece usato degli elettrodi di superficie che misuravano la concentrazione di emoglobina ossigenata e deossigenata di una specifica regione della corteccia cerebrale.
Con queste informazioni abbiamo realizzato dei video didattici utilizzati durante le attività formative sull’analisi dei gesti svolte in co-teaching. In particolare, questi filmati hanno fornito un nuovo tipo supporto nell’analisi del sit to stand, del passaggio supino-seduto e del reaching.
I video mostrano agli studenti cosa realmente succede durante un movimento. Permettono loro di vedere aspetti altrimenti impossibili da visualizzare a occhio nudo, favoriscono la comprensione, l’apprendimento e la messa in relazione dei diversi elementi. Per queste ragioni questi dispositivi didattici contribuiscono allo sviluppo della capacità di analisi rispetto ad uno studio puramente teorico ed astratto effettuato solo sui libri.
Il nostro obiettivo era offrire un percorso formativo che rispondesse meglio agli orientamenti emergenti nel campo dell’insegnamento universitario e al tempo stesso che fosse più orientato allo sviluppo dell’analisi del movimento, una competenza fondamentale per il fisioterapista. Proprio da questa analisi, infatti, vengono elaborati un piano di trattamento e delle proposte terapeutiche adeguate al paziente.
La nostra offerta formativa fa leva su metodi d’insegnamento attivi e partecipativi ed è basata sul modello blended learning (apprendimento ibrido). Nel corso del modulo abbiamo alternato l’attività d’aula in presenza, a momenti in e-learning a distanza in modalità asincrona.
Questo progetto è in una fase iniziale: nel tempo occorrerà acquisire più dati e verificare le ricadute sull’apprendimento, ma i primi riscontri qualitativi e quantitavi sono incoraggianti e sostengono la validità del nostro format.
L’ultimo premio è stato assegnato al “Progetto Stage Ergoterapia School-based” di Benedetta Ramani Croci, Stefania Moioli e Selene Gervasoni.
Lo stage Ergoterapia School-based è un progetto di service learning in cui la pedagogia mette al centro il servizio alla comunità scolastica, rispondendo a due bisogni: quello formativo degli studenti SUPSI e quello della scuola dell’obbligo.
Gli studenti svolgono un periodo di stage all’interno di classi di scuola dell’obbligo e delineano i bisogni della docente in relazione a temi di apprendimento. Le aree d’interesse per l’anno 2022 sono state la motricità fine e la grafomotricità. In seguito, accompagnati dalla responsabile del progetto, pianificano e realizzano materiali e attività che saranno utilizzati dalla docente di scuola dell’obbligo, a sostegno dello sviluppo delle summenzionate abilità degli allievi.
La prima edizione dello stage, nata durante la pandemia COVID 19, si è svolta completamente online e ha coinvolto una coppia di studenti e una classe di scuola dell’infanzia. I riscontri positivi hanno permesso di proseguire e implementare il progetto negli anni successivi estendendolo a sei studenti e tre classi di scuola dell’obbligo del primo ciclo. Nel tempo, è stato introdotto un approccio di didattica ibrida integrando l'impiego della tecnologia nel modulo pratico. Ciò ha consentito di offrire un’esperienza di apprendimento flessibile sia in modalità sincrona che asincrona. Gli studenti sono stati accompagnati attraverso incontri online. Inoltre, hanno documentato il loro percorso di apprendimento utilizzando l’ePortofolio: un raccoglitore digitale in cui hanno pubblicato immagini, video e testi contestualizzando le esperienze al profilo di competenza dell’ergoterapista SUP.
Il progetto è un esempio innovativo di service learning, che vuole fornire agli studenti le competenze necessarie per affrontare in autonomia guidata una situazione reale nel settore professionale di riferimento, nel caso specifico la scuola dell’obbligo, dove non vi sono attualmente attivi degli ergoterapisti. Questo approccio rappresenta un valido esempio di come la formazione universitaria possa avere un impatto concreto e positivo sulla comunità. Esso inoltre promuove una branca dell’ergoterapia non ancora affermata in Svizzera, l’ergoterapia school-based, e si allinea alle raccomandazioni della World Federation of Occupational Therapists che incoraggia la promozione dell’ergoterapia nelle scuole.
Il progetto è infine un esempio concreto di intervento in contesto comunitario e favore di una didattica che rispetta i principi dell’universal design, valorizzando la collaborazione interprofessionale fra due figure: gli ergoterapisti e i docenti.