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l progetto Computer Modelling Sedimentation on Mars (CompSedMars), condotto dal Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI e dal gruppo di ricerca in Geografia fisica dell’Università di Basilea nell’ambito della missione ExoMars dell’Agenzia Spaziale Europea, ha l’obiettivo di studiare la composizione della superficie marziana partendo da un approccio computazionale.
Chi è Federica Trudu e cosa l’ha spinta ad arrivare fin qui?
Sin da ragazza ho capito di avere una mentalità logica ma ottenevo buoni risultati anche a livello sperimentale. Per non rinunciare a nessuno dei due aspetti, ho iniziato a specializzarmi nei metodi computazionali e da un punto di vista professionale sono una fisica-chimica computazionale, mi occupo della scrittura di algoritmi per trattare sistemi fisici o chimici in condizioni difficilmente riproducibili in laboratorio.
Qual è il tuo percorso formativo e di cosa ti occupi in SUPSI?
Mi sono laureata al Dipartimento di Fisica dell’Università di Cagliari, poi ho passato un anno come assistente all’EPFL e preso un dottorato di ricerca all’ETH.
In SUPSI sono docente di Fisica e Matematica numerica nei Bachelor di Ingegneria gestionale e meccanica. Da agosto 2021 ho ottenuto anche un contratto biennale di ricerca con l’Università di Basilea.
Come sei entrata in contatto con il progetto CompSedMars?
Da sempre mi sono occupata dello studio dei minerali della crosta terrestre, mi piace osservare le distorsioni e i cambiamenti degli atomi causati dalla sottoposizione del minerale ad una certa temperatura o pressione. Ma tutto ciò non si può vedere direttamente con un esperimento, serve una simulazione.
Sull’onda di questa passione e del lancio di alcuni rover su Marte, mi sono chiesta che caratteristiche avessero i minerali marziani e come si potessero studiare questi sistemi.
Sono quindi andata ad una conferenza di presentazione del primo rover dell’Agenzia Spaziale Europea, ribattezzato Rosalind Franklin, che verrà mandato su Marte alla ricerca di tracce di vita nell’ambito della missione ExoMars.
In quell’occasione ho conosciuto il Prof. Klaus Kuhn, Responsabile del gruppo di Geografia fisica dell’Università di Basilea e membro del team scientifico che si occupa di calibrare e testare la telecamera ad alta risoluzione (CLUPI) a bordo del rover che servirà per analizzare il materiale sedimentario della superficie di Marte.
Qual è stato e qual è il tuo ruolo all’interno del progetto?
Il gruppo di ricerca guidato da Kuhn si occupa della geomorfologia planetaria, lo studio della forma della crosta, dei sedimenti e di alcune caratteristiche del suolo marziano. Il loro approccio è prettamente sperimentale, non scrivono algoritmi, e avevano bisogno di qualcuno che si occupasse della stesura di modelli computazionali per simulare in che modo questi sedimenti siano stati trasportati ad una gravità diversa da quella terrestre.
Nonostante non avessi mai fatto nulla di simile, ho deciso di mettermi in gioco. Ho iniziato scrivendo il software del progetto che, in primis, svolgeva solo un’analisi dati: prendevo i loro dati sperimentali e li trattavo per ricavare i limiti della teoria esistente. La prima conclusione alla quale sono giunta è che esaminare i dati marziani con la teoria terrestre comporta un errore.
Dopodiché ho deciso di concentrarmi sul trattamento della dinamica del fluido per capire in che modo dei sedimenti come dei ciottoli interagiscono con l’acqua (elemento facilmente studiabile che secondo le teorie è stato presente anche su Marte), e ho iniziato la scrittura di un software di fluido-dinamica computazionale.
In tutto ciò, a cosa servono e in che cosa consistono i voli parabolici?
Per ottenere una gravità diversa da quella terrestre esistono vari metodi, uno di questi riguarda i voli parabolici.
Durante questi voli l’aereo esegue una serie di traiettorie paraboliche: parte da uno stato stazionario, sale fino a raggiungere l’inclinazione ottimale (45-50°) e poi va in caduta libera per 20-25 secondi prima di ritornare in condizione stazionaria. La gravita ridotta o assente non viene sperimentata perché manca la gravità, ma perché si è in caduta libera insieme all’aereo e non si hanno vincoli. Tipicamente si svolgono 4-5 parabole di fila al termine delle quali l’aereo si gira ed effettua una serie nella direzione inversa fino al completamento del numero previsto.
L’anno scorso ho effettuato il mio primo volo parabolico. La sensazione della gravità ridotta è bellissima: è come volare in un tempo rallentato in cui tutti fluttuano nell’aria. Al di là di quello che si potrebbe pensare, però, non è come andare su una giostra. Il corpo è sottoposto ad un grande stress fisico e mentale e in quel lasso di tempo dobbiamo rimanere concentrati per svolgere gli esperimenti; si tratta di un’esperienza velocissima in cui è fondamentale saper prendere decisioni istantanee.
Che risultati sono stati raggiunti nelle due esperienze?
Il nostro fine è capire se con il nostro software riusciamo a riprodurre immagini utili ad interpretare il suolo marziano. In particolare misuriamo la velocità di sedimentazione delle particelle e, per farlo, abbiamo bisogno di metterci nelle condizioni più simili possibili.
Durante la prima esperienza avevamo solo una telecamera frontale per vedere i sedimenti scendere, misurare la velocità e confrontare i dati. In quell'occasione abbiamo completato 13 parabole a gravità 0, 2 parabole marziane (a gravità ridotta) e 1 lunare. Pur effettuando più di un esperimento, due parabole “marziane” sono state poche perché non avevamo abbastanza statistica. Durante il secondo volo partito dalla Florida il 12 dicembre abbiamo tentato di colmare questo gap effettuando 30 parabole: 10 a gravità 0, 10 marziane e 10 lunari. Con due telecamere siamo stati inoltre in grado di ottenere tutto il pattern 3D.
Qual è il ruolo degli istituti di ricerca del Dipartimento tecnologie innovative?
Per preparare il volo ho avuto un grande supporto anche da parte di alcuni colleghi del Dipartimento tecnologie innovative che ci tengo a ringraziare personalmente.
Insieme ad Alberto Vancheri dell’Istituto sistemi informativi e networking (ISIN) abbiamo iniziato a scrivere un modello di fluidodinamica computazionale basato sull’equazione di Boltzmann. Negli ultimi mesi si è inoltre aggiunto il gruppo di Luca Diviani dell’Istituto di ingegneria meccanica e tecnologia dei materiali (MEMTi) che, nel giro di 3-4 settimane, ha modificato la camera sperimentale per poter svolger più esperimenti. In particolare voglio citare Andrea Marino, assistente Bachelor in formazione Master e mio ex allievo, che ha avuto un ruolo determinante. È bellissimo vedere la crescita di questi ragazzi e i numerosi traguardi che hanno già raggiunto!
Che cosa significa essere donna nella scienza e in questo progetto?
Lo scopo è far capire che si può fare, che ci sono degli esempi da seguire.
Pensiamo a Samantha Cristoforetti, a Rita Levi Montalcini, sono donne che hanno fatto cose incredibili. Ci sono tantissimi uomini che hanno fatto tantissime cose incredibili ma le donne nella scienza sono sempre rimaste indietro. La bellezza delle materie scientifiche, invece, dev’essere mostrata alle ragazze già da piccole: bisogna fornire esempi con regolarità, senza porsi alcun tipo di barriera, solo così si possono attivare importanti cambiamenti culturali!